Il tempo nel Coronavirus si è fermato, bruscamente, improvvisamente, indefinitamente.
Heidegger diceva che la temporalità è il senso più profondo dell’Esserci per noi uomini, consapevoli di dover morire. Questo essere-per-la-morte ci rende diversi da qualsiasi altro animale. L’uomo, infatti, può relativizzare ogni possibilità della sua esistenza, rendendola finita. Ed è grazie a questo processo che riesce a comprendere ed assumere consapevolmente queste possibilità esistenziali senza irrigidirsi, né rimanere incastrato in nessuna di esse.
Il Coronavirus ha fermato tutto: per diversi mesi tutto ha subìto un arresto forzato, non previsto, non programmato. E noi non eravamo pronti, nessuno di noi era pronto. Eppure, chi con grandi sforzi e rinunce, chi con naturalezza e anche, sì, un leggero piacere, ci siamo ricollocati in una quotidianità fatta di nuovi spazi, nuove azioni, nuovi modi di relazioni e, soprattutto, scandito da un nuovo tempo.
Riorganizzare il tempo
Riorganizzare le giornate ha significato prima di tutto rivedere il tempo del lavoro. Processo che non ha risparmiato nemmeno la psicoterapia: terapeuti e pazienti, tutti abbiamo dovuto abbattere le nostre resistenze e adattarci ad una nuova modalità di stare in relazione, immaginata come fredda, meccanica, distante, rallentata: la smart therapy.
L’inizio non è stato facile per nessuno, e molti pazienti hanno iniziato più per rassegnazione che per vero interesse. Alla mia proposta di proseguire con la smart therapy molti hanno risposto “Piuttosto che rinunciare completamente, preferisco provare …”. E ci abbiamo provato. Ci abbiamo provato volta dopo volta, incontro dopo incontro, lasciando che qualcosa di inatteso emergesse: una nuova narrazione individuale del tempo.
Il tempo sospeso
“Mi sembra di vivere la mia vita in sospensione, senza capire come le mie giornate riescano comunque a passare”.
Il tempo sembra aver assunto in questi mesi di pandemia, un nuovo ritmo, artificiale, artefatto, lento e sconosciuto ed è come se non riuscissimo a far andare d’accordo la nostra esistenza con questa nuova percezione del tempo: sembra mancare l’armonia tra il nostro tempo interiore e il tempo esterno, quello del mondo. Ed ecco emergere l’esperienza dell’essere sospesi tra questi due tempi che non riescono più ad andare insieme.
Il tempo rubato
“Non riesco a fare programmi perché non sappiamo quello che potrà succedere domani o fra qualche giorno, e se bloccano di nuovo tutto?”.
Il coronavirus ha rubato la nostra progettualità, ci ha obbligato a fare una cosa che non siamo in grado di fare essendo sempre gettati nel mondo e nelle nostre possibilità (Heidegger, Essere e tempo, 1927): stare nel qui ed ora, in quel presente immediato e vicino programmando la giornata e pensando a domani solo domani stesso.
E infine, il tempo stringe
“Il tempo stringe, mai come adesso sento che devo darmi una mossa”.
Se da una parte vi è la sensazione che il tempo sembri non passare mai, in attesa dell’arrivo di un vaccino che sancirà (forse) la fine della pandemia, dall’altra ci accorgiamo che il tempo, com’è ovvio che sia, scorre inesorabile. Ma, rispetto a prima, è come se facessimo esperienza di un tempo che scorre più velocemente, un tempo che quasi ci costringe a fare i conti con noi stessi, a prendere decisioni rimandate da tempo, a esporci confessando a qualcuno ciò che sentiamo da tempo, a lasciare e chiudere situazioni che non ci appartengono più.
Un nuovo modo di essere nel mondo
Ma qualunque sia stata e sia ancora l’esperienza di questo tempo, qualunque sia stato il modo in cui abbiamo vissuto questa crisi di portata mondiale, forse il punto è che per ognuno di noi tutto questo potrebbe essere un’occasione, una possibilità per fare un’esperienza nuova di noi: del vuoto, delle mura domestiche, del nostro incontro con l’altro, della noia, del mondo e del tempo, e quindi anche del nostro essere nel mondo, del nostro esserci.
Psicologa – Psicoterapeuta